[RG-47] Teoria marxista della moneta Pt.8
Conclusioni
L’analisi delle diverse forme di credito ci ha mostrato come esse si generano successivamente, si interpenetrano e si spalleggiano a vicenda; a tal punto che dove il sistema ha avuto il suo massimo sviluppo è impossibile distinguere partitamente le fonti del credito generalizzato. Questo costituisce una unità gestita da un organo gerarchizzato e apparentemente autonomo, la Banca.
Lo sviluppo del credito lo conduce a forme sempre più ermetiche: se il credito commerciale resta perfettamente intelligibile in quanto poggia direttamente sulla circolazione materiale delle merci, il ruolo di intermediario fra mutuatari e mutuanti della banca è già più complesso nella misura in cui la semplice addizione di somme di denaro poco importanti conferisce loro la capacità, che non possedevano di per sé, di recitare la parte di capitale monetario suscettibile di metamorfosi in capitale produttivo; quanto al credito bancario in senso proprio, esso appare completamente privo di base materiale, perché incarna un modo di credito fondato esso stesso sull’esistenza di forme più semplici… di credito.
La coscienza che gli agenti del capitale si fanno del loro modo di produzione raggiunge qui il colmo dell’illusione, perché il sistema bancario e il credito da esso dispensato appaiono loro come la causa prima di tutto il movimento economico, una specie di magica leva in grado di sollevare a volontà il mondo profano della produzione e della circolazione delle merci. Di qui la tentazione di cercare nella sfera monetaria e bancaria la chiave dei misteri della economia capitalistica e la pretesa di superare i disordini di questa con un’organizzazione appropriata di quella.
Importa quindi considerare l’edificio economico nel suo insieme senza dimenticare le fondamenta. Beninteso l’autonomia del sistema bancario è del tutto relativa e il suo funzionamento resta determinato dai fenomeni che si producono nella sfera della produzione e della circolazione sulle quali tuttavia la banca esercita a sua volta una azione riflessa. Qual è infatti la base del sistema di credito se non la produzione e lo scambio delle merci? Qual è la sua funzione fondamentale se non di forzare al massimo l’attività produttiva e commerciale liberandola da tutte le pastoie che nascono, non dal carattere capitalistico della produzione e dello scambio – cosa che sfugge evidentemente alla portata della banca che è una istituzione capitalistica – ma dalla necessità per il capitale di compiere una serie di metamorfosi allo scopo di percorrere integralmente le fasi del suo processo di valorizzazione?
Tutte le limitazioni derivanti dalla necessità per il capitale di assumere la forma di capitale monetario a un momento dato (si veda più sopra la II parte) sono superate dall’organizzazione del credito. Quindi in periodo di accumulazione “normale” del capitale il credito permette di piegare le leggi dell’economia monetaria alle esigenze della economia capitalistica. Ma la sua azione si ferma qui. Tutti i crediti del mondo non potranno mettere in moto delle macchine che non sono state costruite, la forza-lavoro di operai che non sono in età o in condizione di produrre, o vendere delle merci che non sono ancora state prodotte (è vero che la speculazione, il cui sviluppo accompagna quello del credito, sembra realizzare tali miracoli… almeno per lo speculatore fortunato, e questo è necessariamente completato da uno speculatore scarognato; come il furto puro e semplice, la speculazione può far cambiar di mano la ricchezza, ma non produrla).
Tutto ciò che il credito può fare è di tendere al massimo l’utilizzazione dei mezzi di produzione esistenti e anche, in una certa misura, i mezzi di acquisto, la domanda solvibile disponibile in un momento dato – e questo ipotecando la produzione e la circolazione avvenire. “L’estensione massima del credito corrisponde in questo caso alla più completa utilizzazione del capitale industriale, ossia alla esplicazione più intensa possibile della sua forza di riproduzione senza riguardo ai limiti del consumo. Questi limiti del consumo vengono allargati dalla intensificazione del processo di riproduzione stesso, che da un lato accresce il consumo di reddito da parte degli operai e dei capitalisti, dall’altro si identifica con l’intensificazione del consumo produttivo” (Il Capitale, Libro III, Sez. V, cap. 30, Ed. Riuniti, pag. 568). Ma se l’economia di credito sembra così emanciparsi dalle leggi dell’economia monetaria, che tuttavia gli è servita di base, questo deriva in realtà da un’apparenza nella misura in cui la moneta di credito è essa stessa una moneta tout court. Questo carattere di moneta si manifesta nel modo più brutale nei periodi di crisi, nel corso dei quali il sistema di credito sembra incepparsi per cedere il posto al gioco elementare delle leggi monetarie che aveva sostituito nella fase di prosperità.
In effetti, permettendo un impiego estensivo delle forze produttive e, in una misura minore, un’estensione immediata della domanda basata sull’utilizzazione anticipata di mezzi di pagamento di cui si può ragionevolmente scontare l’apparizione futura, il credito non sopprime affatto la contraddizione fondamentale della produzione capitalistica, cioè il fatto che la produzione e la circolazione delle merci, o se si vuole la loro produzione e il loro consumo, obbediscono a leggi di natura completamente diversa e perfino opposta. L’estensione della produzione è dettata dalle necessità dell’accumulazione del capitale che la stessa natura di capitale delle forze produttive impone, e quindi non conosce alcun limite intrinseco. L’allargamento del mercato urta invece contro i limiti non dei bisogni umani in generale di cui il capitale s’infischia, ma della domanda solvibile, limiti che necessariamente non possono regredire allo stesso passo.
Eliminando le cause secondarie di crisi derivanti dalle contraddizioni fra le diverse forme del capitale stesso (capitale monetario e capitale produttivo) il credito aumenta prodigiosamente la forza dell’antagonismo fondamentale del modo di produzione capitalistico facendolo giocare, per così dire, in tutta la sua purezza. Il credito infatti non potrebbe allineare la progressione della domanda solvibile su quella della produzione che negandosi, cioè sopprimendo il carattere privato dell’appropriazione dei prodotti. Se quindi la generalizzazione del credito allontana lo scoppio della crisi è solo per aumentarne l’intensità. Per convincersene basta paragonare sotto l’angolo della intensità e della durata la portata delle crisi commerciali che scuotevano a intervalli relativamente vicini le nazioni industriali del secolo scorso, e quella delle guerre imperialistiche moderne che costituiscono la soluzione capitalistica alla crisi, il solo mezzo di riassorbire senza uscire dai limiti del modo di produzione esistente la pletora massiccia di capitale in rapporto alle capacità di assorbimento del mercato. Giunto all’apogeo del suo sviluppo, il capitale può sopravvivere solo a prezzo di massicce distruzioni, autoamputandosi.
Esso rivela quindi di essere storicamente caduco.
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In periodo di crisi, l’antagonismo fra il modo di produzione sociale del capitalismo e il suo modo di appropriazione privato si manifesta a tutta prima con un divorzio fra produzione e circolazione delle merci. Gli affari rallentano, ma per ciò stesso il credito commerciale e quindi l’insieme del credito illanguidiscono. “Fino a che il processo di riproduzione fluisce normalmente e assicura in tal modo i riflussi (di capitale), questo credito si mantiene e si amplia, e questo ampliamento è fondato sull’ampliamento del processo stesso della riproduzione. Non appena subentra un ristagno provocato da ritardi dei riflussi, da saturazione dei mercati, da caduta dei prezzi, la sovrabbondanza di capitale industriale persiste sempre, ma in forma che non gli permette di adempiere alla sua funzione. Massa di capitale-merce, ma invendibile. Massa di capitale fisso, ma in gran parte inattivo a causa del ristagno della riproduzione. Il credito si contrae: 1 ) perché questo capitale è inattivo, ossia ristagna in una delle fasi della sua riproduzione, perché non può compiere la sua metamorfosi; 2) perché è infranta la fiducia nella fluidità del processo di riproduzione; 3) perché diminuisce la domanda di questo credito commerciale. Il filandiere che restringe la sua produzione e ha in magazzino una grande quantità di filo invenduto, non ha bisogno di acquistare del cotone a credito; il commerciante non ha bisogno di acquistare delle merci a credito, avendone a disposizione più del necessario” (Il Capitale, Libro III, Sez. V, cap. XXX, Ed. Riuniti, pag. 568).
In questa situazione di crisi, si assiste a un ritorno paradossale del vecchio sistema monetario, di cui si dimenticano di colpo tutti gli inconvenienti dal punto di vista capitalistico. La moneta di credito assolveva nel migliore dei modi la funzione di mezzo di circolazione e in pratica si identificava con essa. Ora ecco che la circolazione risulta bloccata. Ciò che da tutte le parti si esige, è quindi un mezzo di tesaurizzazione, della moneta in senso forte, incarnazione della ricchezza astratta, cioè l’equivalente generale. I privati si gettano sull’oro, che non sarà evidentemente mai disponibile in quantità sufficienti nella misura in cui appunto lo sviluppo della moneta di credito ha permesso di farne assolutamente a meno, mentre le banche che ancora il giorno prima restringevano al minimo i loro fondi di sicurezza tesaurizzano a modo loro rifiutando l’apertura di crediti nuovi. “Il credito, anch’esso forma sociale della ricchezza, soppianta il denaro e ne usurpa il posto. È la fiducia nel carattere sociale della produzione, che fa apparire la forma monetaria dei prodotti esclusivamente come qualche cosa di passeggero e ideale, come semplice rappresentazione. Ma, non appena il credito viene scosso – e questa fase si presenta immancabilmente nel ciclo della industria moderna – qualsiasi ricchezza reale deve essere trasformata concretamente e improvvisamente in denaro, in oro e in argento, una pretesa assurda che deriva però necessariamente dal sistema stesso. E l’oro e l’argento che devono soddisfare a queste incredibili pretese ammontano in tutto a un paio di milioni che giacciono nelle casseforti della banca. Riguardo agli effetti del deflusso dell’oro, il fatto che la produzione, in quanto produzione sociale, non è realmente sottoposta al controllo sociale, si manifesta nel modo più evidente nel fatto che la forma sociale della ricchezza esiste come una cosa al di fuori di essa. Questo, il sistema capitalistico lo ha di fatto in comune con i sistemi di produzione precedenti nella misura in cui questi si fondano sul commercio delle merci e sullo scambio di privati. Ma soltanto nel sistema capitalistico ciò si presenta nella forma più clamorosa e grottesca di assurda contraddizione e controsenso, 1) perché nel sistema capitalistico la produzione per il valore d’uso immediato, per l’uso dei produttori è abolita in misura più completa che negli altri sistemi, quindi la produzione esiste soltanto come un processo sociale che si esprime nella concatenazione della produzione e della circolazione; 2) perché con lo sviluppo del sistema creditizio la produzione capitalistica tende continuamente a sopprimere questa barriera metallica al tempo stesso concreta e fantastica, della ricchezza e del suo movimento, ma continuamente sbatte la testa contro di essa. Al momento della crisi si ha la pretesa che tutte le cambiali, i titoli, le merci debbano essere a un tratto e contemporaneamente convertibili in moneta bancaria e tutta questa moneta bancaria a sua volta in oro” (Il Capitale, Libro III, Sez. V, cap. 35, Ed. Riuniti, pagg. 670-671).