L’epilogo borghese della rivoluzione cinese si legge nel suo passato Pt.26
“Bombardare il Quartier Generale”
Il titolo del dazibao di Mao esprimeva bene la principale linea direttrice della Rivoluzione Culturale: si doveva vincere “un pugno di alte autorità”, far cedere le resistente nel Politburo e nel CC, epurare e riorganizzare i Comitati di Partito delle ventuno province, delle cinque regioni autonome e delle due, allora, municipalità speciali. Il “bombardamento” doveva limitarsi all’apparato superiore di Partito, non scalfire la precisa organizzazione dei 2.117 Distretti, meno che mai turbare l’andamento della vita produttiva dell’immenso paese. Il “bombardamento”, per evitare spinte decentralizzatrici, avrebbe dovuto poggiare sulla solida base dell’autorità morale di Mao e dell’intero CC come corpo costituito, autorità ambedue da conservare e da alimentare costantemente.
La critica proveniente dalle masse doveva avere il solo scopo di permettere questa epurazione ai vertici, questo secondo le intenzioni di Mao e dei suoi. Se questa era la principale direttrice, subito importanti differenziazioni apparvero fra i protagonisti, incalzati dagli avvenimenti.
Se Zhou Enlai, Chen Yi, Li Xiannian saranno fra coloro che più richiederanno moderazione e prudenza, Chen Boda, Kang Sheng e Jiang Qing saranno invece fra coloro che continuamente richiederanno la massima estensione e la massima velocità nel processo di epurazione.
Zhou Enlai, pratico e duttile per resistere alla bufera, si farà scudo immancabilmente con il “programma in 16 punti” dell’8 agosto che, come abbiamo visto, conteneva di tutto; sarà lui ad insistere in ogni discorso sulla necessità che il “bombardamento” si limitasse al Quartier Generale, sarà lui che, sottilmente ed a più riprese, farà notare che l’espressione “bombardamento” non significava distruggere la struttura degli organi superiori ma solamente colpire certi quadri, e che non tutti coloro che avevano sbagliato erano da classificare come controrivoluzionari, di questi essendo una parte – così recitava il “programma in 16 punti” – recuperabili. Sempre Zhou tenterà di disciplinare le Guardie Rosse qualificandole come “riserva dell’EPL”, di cui andavano apprese le virtù e le capacità.
Ma la preoccupazione principale di Zhou sarà quella di salvaguardare l’andamento produttivo, già minato dal soffocamento della indispensabile e cronicamente insufficiente rete di trasporto, costretta a sobbarcarsi gli spostamenti di centinaia di migliaia di Guardie Rosse.
Già il 15 settembre, alla terza grande sfilata di un milione di Guardie Rosse, Zhou senza abbellimenti esclamerà:
«La grande rivoluzione culturale proletaria mira a trasformare l’uomo in ciò che egli ha di più profondo e anche a promuovere la produzione sociale (…) Far progredire nel modo migliore la produzione industriale e agricola, riveste una grande importanza. A ciò sono legati l’edificazione socialista del nostro paese, il III Piano quinquennale, la vita della popolazione urbana e rurale e la grande rivoluzione culturale proletaria»; per poi innalzare un vero e proprio inno delle virtù produttive delle masse: «Le larghe masse degli operai, dei membri delle Comuni popolari, del personale scientifico e tecnico e dei quadri degli organismi e delle imprese devono mantenersi fermamente ai loro posti nella produzione, scegliere opportunamente l’anello della produzione e porre l’ardore irruento, che avrà fatto nascere in loro la rivoluzione culturale al servizio della produzione nazionale e della sperimentazione scientifica».
Ed è qui che dobbiamo soffermarci, non sui caratteri folcloristici ed eccitanti perché spettacolari, per fissare in maniera indiscutibile i caratteri reali di una Rivoluzione che tutto pretendeva cambiare. È l’atteggiamento del regime e delle Guardie Rosse nei confronti della classe lavoratrice che rivela il carattere di classe di ciò che stava accadendo. Come nel 1949 il carattere borghese, non socialista, del costituirsi della Repubblica Popolare Cinese risaltava in maniera cristallina dai solleciti inviti del nuovo Stato agli operai, perché questi continuassero a lavorare “come loro abitudine”; ugualmente nell’agosto-settembre 1966, appena la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria inizia la sua trionfale marcia è sua cura lanciare appelli perché gli operai ed i contadini continuino “come loro abitudine” ad accudire alla produzione, o, come dirà Mao il 7 settembre per gli incidenti fra Guardie Rosse ed operai e contadini a Qingdao, Changsha e Xian: «pubblicate degli editoriali per dire agli operai e ai contadini di non interferire più nei movimenti studenteschi».
Ed infatti editoriali di tal genere si ebbero sul “Jenmin Jihpao” sia il 7 che il 15 settembre, ambedue ispirati al principio; “fare la rivoluzione e promuovere la produzione”, il primo compito degli studenti, il secondo delle mani callose operaie.
Ancora Zhou Enlai dirà, sempre sulla stessa onda, il 15 settembre: «Compagni e studenti, al fine di facilitare lo sviluppo normale della produzione industriale e agricola, le Guardie Rosse, gli studenti degli istituti superiori e secondari non devono andare ora nelle officine, nelle imprese, negli organismi al di sotto del livello distrettuale e nelle Comuni popolari per stabilire dei contatti rivoluzionari. La rivoluzione deve essere fatta tappa per tappa in modo pianificato (…) Le fabbriche e le regioni rurali non possono avere delle vacanze come gli istituti d’insegnamento e interrompere la produzione per fare la rivoluzione (…) La stagione dei grandi lavori di raccolta e di semina d’autunno è arrivata. Le Guardie Rosse, gli insegnanti, gli studenti degli istituti superiori e secondari devono organizzarsi per recarsi nelle campagne e partecipare al lavoro manuale, aiutare per la raccolta d’autunno, prendere esempio dall’entusiasmo rivoluzionario e dallo spirito laborioso di cui danno prova i contadini poveri e medi dello strato inferiore».
Ed anche se quest’ultimo desiderio di Zhou rimase inappagato, si conferma ciò che andiamo svolgendo; la Rivoluzione Culturale non voleva, e non poteva, essere altro che la conclusione di una dura lotta politica all’interno della struttura del vertice del Partito e dello Stato; tale lotta politica non era parto di ambizioni ed invidie – anche se queste hanno concorso a determinare i caratteri esteriori dell’avvenimento – ma dipendeva dai difficili problemi che si presentavano all’industrializzazione del paese ed all’introduzione del capitale nelle campagne. Doveva pertanto epurare i vertici ma non intaccare l’efficienza dello Stato (“Bombardare il Quartier Generale”), poteva scatenare le folle disponibili degli studenti ma mai e poi mai gli operai, dalle cui fatiche proveniva la ricchezza della Nazione.
Altro aneddoto significativo per ciò che andiamo svolgendo, è riportato dallo studioso Generale Guillermaz. Il 30 novembre, quando già disordini interessavano molti stabilimenti ed imprese, Zhou Enlai e Chen Yi rimproverarono aspramente dei delegati operai che si erano recati a Pechino di loro iniziativa. Il primo riaffermò che il CC doveva ancora studiare le condizioni pratiche con le quali fabbriche e miniere potevano partecipare alla Rivoluzione Culturale; il secondo – carattere più spigoloso – sbottò invece così: «Esistono 30 milioni di operai che sono le fonti di vita dell’economia e 500 milioni di contadini, se tutti venissero a Pechino, che succederebbe ? Gli studenti non hanno a carico la Nazione, possono prendersi delle vacanze per fare la rivoluzione, voi non potete !».
Sembra che Zhou Enlai, nella sua azione moderatrice, fosse appoggiato oltre che da Chen Yi anche da Li Fuzhun, Li Xiannian, Tao Zhou, Tan Zhenlin, Ye Jianying, Liu Ningyi e Xie Fuzhi, futuro grande accusato nel processo alla banda Lin Biao-Jiang Qing.
Il Gruppo Centrale della Rivoluzione Culturale rappresentava invece, a prescindere dalla sorte di alcuni dei suoi membri, l’ala radicale. Composto inizialmente di 18 membri, aveva come presidente Chen Boda, Jiang Qing come primo vice-presidente, Kang Sheng e Tao Zhu come consiglieri, Wang Renzhong, Wu De, Liu Zhianqian, Zhang Chunqiao, Zhang Pinghua, Zheng Jixiao, Tan Zhenlin, Liu Wenzhen. come vice presidenti, e Wang Li, Xie Tangzhong, Guan Feng, Qi Benyu, Mu Xing e Yao Wenyuan come membri.
Già però nel gennaio dell’anno a venire, Tao Zhu sarà clamorosamente eliminato da ogni vertice politico, mentre ripensamenti e contrasti avevano eliminato dal Gruppo Centrale tutti i vice presidenti, escluso l’astro nascente Zhang Chunqiao, la cui carriera politica sarà ugualmente breve.
Dove il radicalismo ? Semplicemente nel pretendere che il processo di epurazione mietesse impietosamente le sue vittime, da sacrificare perché il Partito e le masse ritrovassero il vigore di un tempo perduto.
Anche il gruppo radicale aveva in dispetto la sorte dei duri lavoratori salariati, tanto che quando inizierà la campagna contro Liu Shaoqi, nel novembre, il Gruppo Centrale della Rivoluzione Culturale sarà alla testa della canea piccolo borghese studentesca contro l’economicismo, cioè il miglioramento delle condizioni di esistenza che i lavoratori incominciarono a richiedere.
Fra questi due schieramenti, quasi defilato, stava Lin Biao, punta dell’iceberg-Esercito (fino al 1971 principale beneficiario della Rivoluzione Culturale), in breve tempo innalzato al rango di semidio e quindi per questo ancora più scontroso e riservato.
Ma il carattere dell’uomo poco importa; i suoi discorsi piatti, privi di passionalità anche quando promettevano battaglie cruente contro gli avversari della Rivoluzione Culturale, assolutamente privi delle paure e delle cautele di Zhou Enlai per gli effetti dei disordini sulla produzione, esprimevano appieno ciò che le forze sociali richiedevano.
Da una parte il grigio Lin Biao doveva, umilmente, essere il migliore esegeta di Mao, figura ormai astratta ma il cui mito era sempre più indispensabile per il mantenimento del prestigio dell’immobilizzato CC e per salvaguardare la stessa unità statale della Repubblica ed in questa opera di incensazione e di glorificazione la sua debole personalità era l’ottimo; dall’altra, invece, il cauto defilarsi di Lin Biao dalla contesa politica fra gruppi al vertice esprimeva la prudenza dell’intero apparato dell’Esercito che si stava avviando a rimanere l’unica struttura statale funzionante ed efficiente, in ogni angolo del paese.
Processo che alla fine avrebbe imposto all’Esercito di prendere in mano le sorti dell’intera Cina e che si svolgeva inarrestabilmente proprio quando l’esaltazione dei “movimenti di massa” raggiungevano il parossismo, quando lo stesso Lin Biao doveva coniare la formula della “grande democrazia”, così rappresentata nel suo discorso alle Guardie Rosse del 3 novembre 1966:
«La grande democrazia consiste nel fatto che il partito incoraggia senza nessun timore le masse affinché critichino e sorveglino gli organi dirigenti e i dirigenti di Partito e dello Stato a diversi livelli, con franchi e ampi dibattiti, con giornali murali a grossi caratteri, con vasti scambi di esperienze rivoluzionarie e sempre con la più ampia libertà di espressione».
L’epurazione si estende
La capitale Pechino, che era stata teatro nei mesi passati della sconfitta della “banda nera” di Peng Zhen, per il trimestre settembre-novembre vide quasi placarsi la lotta politica che seguì le epurazioni, le Guardie Rosse la mantenevano però meta delle grandi manifestazioni di fanatico attaccamento all’incensato Presidente.
Oltre alla manifestazione del 15 settembre, con un milione di inquadrati e nella quale parlò il solito duo Lin Biao-Zhou Enlai altre manifestazioni si tennero il 1° ottobre (1,5 milioni sfilarono, oratori sempre Lin e Zhou), il 18 ottobre (ancora 1,5 milioni di Guardie Rosse, nessun oratore), il 3 novembre (2 milioni di Guardie Rosse e di Lin Biao l’unico discorso), ed il 10-11 novembre, con Mao ed i massimi dirigenti a presiedere la parata.
Ma questa enorme presenza di Guardie Rosse non aveva determinato un incrudimento della lotta politica nella capitale, infatti, anche per lo svolgersi di una importante sessione di lavoro del CC, che si riunì dal 3 al 25 ottobre, raramente i massimi dirigenti in evidente disgrazia saranno tirati in ballo dai giovani urlanti.
Giudicando dai discorsi di Mao del 24-25 ottobre, la sessione cercò benevolmente di convincere Liu Shaoqi, Deng Xiaoping ed i loro sostenitori a piegarsi di fronte allo svolgersi della Rivoluzione Culturale; Mao allora non solo lanciò una corda di salvataggio a Liu e Deng («Dobbiamo permettere a Liu Shaoqi e Deng Xiaoping di fare la rivoluzione e di riformare se stessi»), ma, ricordando gli anni passati, ammise sinceramente che da tempo tutti gli affari quotidiani di Partito e di Stato erano in mano ai due, mentre lui Mao si era ritirato in “seconda linea”, e che solo con le ripetute bocciature del suo programma di “Movimento di Educazione Socialista” aveva capito da dove combattere il “revisionismo del Centro” facendo fulcro su altre città, visto che a Pechino, lui il grande Mao, non riusciva a “metterci uno spillo” !
Se quindi nei confronti di Liu e Deng la Rivoluzione Culturale osservò un attimo di tregua, concessa anche ad altri suoi autorevoli oppositori tipo i Marescialli Zhu De e He Long, lo stesso non accadde ai numerosi Ministri ed ai membri del CC dalla statura personale inferiore.
Apparentemente in maniera spontanea, le Guardie Rosse avevano proseguito ad attaccare autorevoli personaggi del Partito, del Governo, dei Sindacati e del malcapitato mondo della cultura con un già collaudato sistema di gradualità, dalla parafrasi anonima, all’appellativo insultante, alla designazione per nome. Quando le critiche e gli attacchi erano prematuri o troppo arditi, ci pensavano mani anonime a far sparire i manifesti affissi dalle Guardie Rosse, come accadde per i dazibao contro Li Xue-feng comparsi a Pechino il 18 ottobre e sollecitamente rimossi, o come quelli contro Tao Zhu, numero quattro della gerarchia, che subirono la stessa sorte l’11 novembre.
L’elenco dei dirigenti messi sotto accusa si allungava di giorno in giorno comprendendo sempre più le strutture più prestigiose del Partito e del Governo: Bo Yibo, prima di tutti, membro supplente del Politburo e Ministro della Commissione di Piano; Tan Zhenlin, membro del Politburo; An Ziwen, responsabile del Dipartimento Organizzazione del CC; Liu Lantao primo segretario per le Province del Nord-Ovest; Kang Feng, segretario del Gansu; Li Baohua, segretario dell’Anhui e figlio di uno dei fondatori del PCC, Li Dazhao; Hu Yaobang, allora segretario della Gioventù Comunista; erano alcuni dei tanti dirigenti tirati in ballo dalle Guardie Rosse che non si peritavano a sequestrare, processare sommariamente ed anche maltrattare vecchi quadri o intellettuali caduti in disgrazia, fino alla morte o al “suicidio” come era stato per Li Da, uno dei dodici partecipanti al primo congresso del PCC, morto per i maltrattamenti ricevuti, stessa sorte per Nan Han-ch’en uno specialista di Commercio Estero, mentre Lao She famoso scrittore umorista si suicidò annegandosi in uno stagno e Yang Hsiu-feng, ex-Ministro dell’Insegnamento Superiore, sopravvisse ad un tentativo di suicidio.
È proprio in questo periodo che appaiono sulla scena “i lavoratori dell’industria e delle miniere”, quelli per i quali, da ormai sei mesi, gli studenti e l’Esercito stavano facendo la Rivoluzione Culturale.
Infatti, insieme alle prime notizie di ricorrenti scontri fra Guardie Rosse che interessavano sia Pechino che la regione circostante, i giornali murali cominciarono a riportare quelle di scontri fra Guardie Rosse e gruppi operai nei sobborghi della grande città del Nord, scontri il cui significato verrà presto alla luce.
Una cosa però saltò subito agli occhi dei promotori della Rivoluzione Culturale: non si trattava solamente di abbattere un pugno di dirigenti incamminati sulla strada del capitalismo, ma ben di più: si trattava di ridare a tutte le componenti della società cinese il vigore borghese del 1949-53, di ricomporre il frantumato dagli eventi “blocco delle quattro classi”, e le Guardie Rosse paladine della “mobilitazione sociale” non si potevano limitare a prendere per il bavero vecchi ed indifesi quadri, ma conquistare a sé tutti gli strati della popolazione, quelli urbani e quelli rurali, impresa per la quale niente contavano le misure di polizia !
Pechino significativamente lo mostrava, con la sua popolazione che dava segni sempre più evidenti di insofferenza e di stanchezza per lo zelo e la prepotenza dei “giovani combattenti”, tanto che, nonostante le propagande, non mostrava nessuna fretta a rivoluzionare i propri usi e le proprie abitudini.
L’attento CC, prontamente il 16 novembre decise allora di interrompere i viaggi gratuiti delle Guardie Rosse verso Pechino, mantenendo la gratuità per il viaggio di ritorno, provvedimento che mirava a decongestionare il traffico ferroviario, ma anche, secondo le dichiarazioni di Zhou Enlai e di Chen Boda, conseguenza della mancanza di alloggio, di cibo e di medicine, con migliaia di Guardie Rosse che si stavano ammalando proprio quando la capitale stava per essere raggiunta dai rigori del rigido inverno del Nord.
Due giorni dopo, il 18 novembre, un “importante comunicato” del Comitato Municipale di Pechino minacciava poi “immediate e severe punizioni” per le Guardie Rosse che picchiavano e sequestravano le persone, il che non impedì nella settimana successiva, nuovi incidenti che ormai interessavano gli operai delle fabbriche.
Era ormai però nelle Province che si era spostato l’asse della lotta politica e sociale.
I disordini nelle province
In tutte le Province, disordini e scontri coinvolgevano continuamente Guardie Rosse organizzate da studenti di Pechino e gruppi, spesso di operai e impiegati oltre che di studenti, organizzati dai locali Comitati di Partito, che non solo resistevano ma il più delle volte sopraffacevano i loro avversari. La tanto proclamata epurazione di un “pugno di individui” si rivelava ben più difficile delle previsioni.
Lo studioso Guillermaz fornisce una lunga nota di scontri che interessarono le principali città, da Tianjin a Xi’an a Lanchow, e praticamente in tutta la Cina. Secondo lo studioso, gli incidenti furono particolarmente gravi a Tianjin dove coinvolsero subito i Sindacati (il Segretario di quello dei cicloportatori moriva per le ferite subite), mentre il primo Segretario del Comitato di Partito della città e primo Segretario dell’Hebei, Wan Xiatang, sarebbe morto il 21 settembre per attacco cardiaco a seguito dei maltrattamenti subiti durante un assalto di Guardie Rosse alla sede del Partito; a Xi’an dove si ebbero sanguinosi scontri fra studenti di diversi istituti e nella intera Provincia dello Shandong, sempre fra studenti.
Il mese di settembre vide pertanto la prima ondata di Guardie Rosse interessare le Province, ondata che fu arginata e respinta dai Comitati di Partito; era il fallimento di uno degli obiettivi del “programma in sedici punti” dell’8 agosto, di “prendere il potere nei Quartieri Generali” che infatti, localmente, avevano resistito e sconfitto i mandati da Pechino, le Guardie Rosse.
Era un ulteriore segno dell’allentarsi della forza centripeta della Capitale e della rinata forza dei particolarismi locali, politicamente certo favoriti dal compromesso avutosi al vertice con l’eliminazione di Peng Zhen e Luo Ruiqing, ma con il mantenimento, seppur in posizione subalterna, sia di Liu Shaoqi che di Deng Xiaoping, veri capi di quella politica tutto “economicismo” e “pragmatismo” che si pretendeva sconfiggere.
Ma il fatto più rilevante di questi mesi era che, nonostante i continui appelli perché la Rivoluzione Culturale si estendesse al mondo della produzione, nelle fabbriche l’allentato controllo dei dirigenti, il fatto stesso che i Comitati di Partito organizzassero a loro difesa i primi gruppi operai, questi due convergenti fatti ebbero come conseguenza che le norme produttive e disciplinari non venivano più rispettate, e gli operai non accennavano minimamente né a fare la rivoluzione né a promuovere la produzione !
Gli operai cominciarono invece a chiedere come premio della loro entrata in scena aumenti di salario, premi di produzione, gratifiche; una ondata di scioperi – da novembre a gennaio – travolse infatti i centri industriali, i porti, le miniere, i pozzi petroliferi.
Ugualmente nelle campagne, tenute prudentemente fuori della contesa politica, dopo i grandi lavori di raccolta e semina autunnali, i contadini cominciarono a spartirsi il grano non più consegnato agli ammassi statali, i fondi comuni e le riserve di Squadre, Brigate e Comuni, qua e là si ebbero persino sporadici episodi di assalti ai depositi statali di viveri.
Operai e contadini stavano aprendo un nuovo decisivo capitolo della Rivoluzione Culturale.