Partito Comunista Internazionale

Il Partito Comunista 337

La lotta di classe è e sarà il motore della storia: Lo sciopero in Corea

Una città vicino Seul, in Corea del Sud, è stata esempio di grande lotta proletaria, una lotta di classe, una lotta cruenta tra le due classi che contraddistinguono il mondo moderno, borghesia e proletariato, anche se limitata ad una solo fabbrica che produce automobili.

I lavoratori della Ssangyong Motors hanno scioperato, con conseguente occupazione della fabbrica, per più di due mesi, a seguito della dichiarazione di fallimento dello stabilimento.

In un primo tempo era stata decretata la chiusura definitiva della fabbrica, probabilmente per poi proporre più facilmente ristrutturazioni e licenziamenti di un certo peso, come poi si è avverato.

Infatti, dopo un breve momento di finte “contrattazioni”, la proprietà, che per il 51% è della China’s Shanghai Automotive Industry Corporation, annunciava il licenziamento di 1.700 operai su 7.000 e l’immediata espulsione di 300 “interinali”, colà denominati casual. Tre anni prima la fabbrica, con la vecchia proprietà, impiegava 8.700 operai.

La risposta non si fa attendere: dopo alcuni scioperi spontanei quasi 2.000 operai decidono di bloccare la produzione e di occupare la fabbrica, aiutati per quanto possibile dall’esterno dai familiari e dai numerosi solidali attraverso soprattutto il rifornimento quotidiano di cibo. Tra chi li appoggia è da registrare la numerosa presenza di operai della vicina Seul, soprattutto della KIA Motors.

Le richieste dei lavoratori sono focalizzate sul ritiro totale dei licenziamenti, per la sicurezza sul lavoro e contro le esternalizzazioni.

Passano pochi giorni ed iniziano gli scontri, duri, violenti: da una parte c’è la polizia in tenuta antisommossa, ben equipaggiata e spalleggiata da delinquenza comune e da numerosi crumiri, dall’altra gli operai della fabbrica organizzati, orgogliosi, decisi e non mollare.

Nei primi giorni gli operai riescono a tenere lontane le forze di repressione lanciando bulloni con catapulte artigianali e fionde. Poco dopo però capiscono che non potrebbero potranno resistere a lungo e decidono di asserragliarsi nel reparto vernici dove pensano di sentirsi più protetti, anche a seguito di quanto avvenuto qualche mese prima in un’altra fabbrica dove erano morti degli operai in sciopero perchè la polizia gli aveva sparato contro dei candelotti lacrimogeni creando una mortale reazione chimica con i prodotti della verniciatura. Ci furono allora numerose proteste e una forte indignazione si levò non solo nella classe operaia, ma nell’opinione pubblica in generale.

Ma la tattica non basterà ad evitare lo sgombro. Gli assalti proseguono nei giorni seguenti, il reparto vernici resiste, ma viene tagliata l’acqua il gas la luce, qualche operaio esce e rinuncia, la moglie di un operaio (che non doveva essere licenziato, ma presente in fabbrica per solidarietà), in segno di protesta si suicida.

Al di fuori un enorme cordone di sicurezza non permette i rifornimenti agli operai barricati dentro, si registrano diversi scontri soprattutto tra delinquenza comune e crumiri contro familiari e solidali degli occupanti.

Sono poche le notizie della solidarietà operaia che ci sono arrivate ma a quanto pare diverse fabbriche di Seul hanno fatto numerose ore di sciopero e a volte hanno cercato di portare la loro attiva solidarietà agli operai in fabbrica.

Significativo quanto successo dopo un partecipato sciopero di diverse fabbriche metalmeccaniche, che in piazza spingevano i sindacati a richiedere lo sciopero generale: questi, col pretesto delle imminenti elezioni sindacali, sembrerebbe abbiano desistito, provocando non poca delusione nelle file operaie. Gli scioperanti hanno allora provato a dirigersi verso la fabbrica ma sono stati bloccati dalla polizia, ne sono nati scontri che hanno portato a decine e decine di arresti.

Al di là dell’inevitabile insuccesso di questa lotta e lo sgombero il 5 agosto della fabbrica, salutiamo con entusiasmo la determinazione di questa porzione coreana della classe lavoratrice mondiale che, pur senza un partito rivoluzionario alle spalle, ha dimostrato coraggio solidarietà e decisione in difesa dei propri interessi immediati.

Dalle notizie ricevute sappiamo che molti crumiri partecipavano agli scontri, ma è anche vero che molti lavoratori che non rischiavano il licenziamento si sono battuti attivamente per 77 giorni in difesa dei loro compagni. La loro lotta è la nostra lotta.

Il nostro sdegno è rivolto verso quei sindacati collaborazionisti che ancora una volta hanno svenduto cotanta energia di classe, e che infine hanno portato i lavoratori alla disfatta con i pessimi accordi successivi.

Questa è certo una delle prime, numerose ed imminenti battaglie, che la classe salariata del mondo intero dovrà affrontare sotto la spinta della profonda crisi sociale che la società capitalista sta attraversando e dalla quale, al di là delle chimere borghesi, non uscirà se non con una nuovo e tremendo macello mondiale.

La crisi conferma che esiste e persiste il Capitale e la classe che se ne avvantaggia, la borghesia; esiste e non è sparito nel nulla il lavoro salariato e la sua classe corrispondente, il proletariato. Seppur addormentato e addomesticato per anni, come in Occidente, dovrà inevitabilmente ritrovare il suo partito comunista, l’unico che lo può guidare ad uscire dalle barbarie del capitalismo per avviarlo verso una nuova società, non più costruita sullo sfruttamento del lavoro salariato, una “società degli uomini” e non del capitale, che restituisca lo strumento lavoro a soddisfare le esigenze della vita e del progresso dell’umanità, e non quelle della riproduzione assurda di Sua Maestà il Capitale.

La lotta di classe, a scorno di tutte le illusioni borghesi, raggiungerà i massimi storici e in continuo crescendo. Oggi, nel vortice della crisi economica, in tutto il mondo la morente borghesia è costretta a difendersi con tutte le armi che ha a disposizione: con gli innumerevoli licenziamenti, col lavoro salariato sempre più precario meno sicuro e malpagato. Il proletariato, benché disarmato e circondato da ogni lato da agenti della borghesia, nei sindacati e nei suoi falsi partiti, in mille e mille episodi come quello coreano cerca di difendersi come può.

Il risorgere della classe a soggetto politico attivo e la ripresa della lotta per la sua emancipazione coinciderà con il riscoprire il suo non degenerato partito comunista internazionale, buttando a mare vecchi e nuovi sinistri opportunismi, che puntualmente torneranno a proporre le loro formule di tradimento e di sconfitta. La classe infatti, come scrivevamo nel 1921, presuppone il partito: perché per essere e muoversi contro le altre classi deve avere una dottrina critica della storia e una finalità da raggiungere in essa. La vera e l’unica concezione rivoluzionaria dell’azione di classe sta nella delega della direzione di essa al partito. Oggi questo partito è il partito comunista internazionale.