Partito Comunista Internazionale

[RG-22] Il programma rivoluzionario della società comunista elimina ogni forma di proprietà del suolo, degli impianti di produzione e dei prodotti del lavoro Pt.1

Categorie: Agrarian Question, Socialisme où Barbarie

Articolo genitore: Il programma rivoluzionario della società comunista elimina ogni forma di proprietà del suolo, degli impianti di produzione e dei prodotti del lavoro

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I testi marxisti e il rapporto di Torino

Nello svolgere gli argomenti di Torino, e in modo speciale nella seconda seduta, dedicata a trattare le reciproche accuse di revisionismo scambiate tra «comunisti» jugoslavi e russi, fu, come di ordinario, fatto largo ricorso a testi di base del marxismo, con citazioni che non sempre, nel resoconto testé apparso in quattro puntate, si è avuto agio di riportare.

In tale trattazione è stata nostra preoccupazione dimostrare come le nostre valutazioni e formulazioni dei problemi discussi non si discostino mai da quelle classiche della dottrina di Marx. Tanto più tale prova era calzante a proposito di una discussione in cui i contendenti rivendicano ciascuno di essere in pieno sulla linea tradizionale dei princìpi in quanto accusano il contraddittore di averne in modo colpevole deviato.

La polemica potrebbe prendere una forma e uno sviluppo diversi, ove i due gruppi contendenti, che per noi sono entrambi caratterizzati da forme di degenerazione opportunista ancora più spinte di quella dei “revisionisti” storicamente classici della fine dell’ottocento e della Prima Guerra Mondiale, ammettessero apertamente che vanno sempre più discostandosi dalla teoria socialista come fu enunciata da Marx e strettamente difesa da Engels e poi da Lenin. Ma questi signori, se già da molto tempo vanno ammettendo che si abbia il diritto di modificare, nel corso del tempo, i princìpi originari del partito, e se alla fine finiranno – ne siamo certissimi – per confessare apertamente di averli bouleversés, capovolti addirittura, ci hanno oggi presentata una strana fase di lotta “contro ogni revisioniamo”, hanno ostentato di essere convinti che questo sia oggi ideologicamente e scientificamente tanto da condannare quanto quello di oltre mezzo secolo addietro, ed anzi hanno scambiato tra loro l’epiteto di revisionasti come l’ingiuria più infamante.

Quindi la contrapposizione a tutto il blaterare di questa gente di citazioni autentiche dei testi classici diviene, per loro stessa scelta, decisiva. La posizione è ben diversa da quella in cui un marxista rivoluzionario si trova di fronte ad un altro settore di contraddittori ed avversari, che dichiaratamente voglia adoperare i dati di fatto storici del periodo trascorso dal 1848 ad oggi per dimostrare che essi arrecano argomenti atti a porre in essere, nella economia e nella scienza storica, teorie opposte a quella di Marx rivendicata dai comunisti rivoluzionari.

Bisogna dire che questo secondo gruppo di nemici è più coerente non solo nella intrinseca sua costruzione teorica e scientifica, ma anche se si confronta la dottrina con la attività politica diretta a conservare quelle forme la cui distruzione e scomparsa era il coronamento della formidabile costruzione del marxismo rivoluzionario.

Contro avversari di tal natura ci volgeremo in altri stadi del nostro lavoro di difesa integrale del marxismo, che per noi si enuncia oggi come oltre un secolo fa venne nei classici enunciato; e ciò tra l’altro in una riunione prossima del nostro movimento.

Si tratta allora di ributtare un attacco frontale e non mascherato; mentre dove si tratta di combattere i pretesi “vergini” da revisionismo di Belgrado o di Mosca e altre capitali, è dello sgarrottamento traditore e della pugnalata nella schiena che si deve aver ragione.

Engels ed i programmi socialisti agrari

Nel 1894, settembre, il partito operaio marxista francese (quello di Guesde e di Lafargue) adottò nel suo congresso di Nantes un programma di azione nelle campagne. In ottobre a Francoforte si occupò dello stesso tema il partito socialdemocratico tedesco. Engels alla fine della sua lunga vita seguiva da presso il movimento della Seconda Internazionale Operaia, fondata dopo la morte di Marx nel 1889. Egli dovette dissentire nettamente dalla risoluzione dei francesi, mentre fu più soddisfatto del congresso tedesco, ove fu respinta una tendenza di destra analoga a quella prevalsa a Nantes.

Engels dedicò al tema un articolo della massima importanza pubblicato nella rivista Neue Zeit del novembre 1894. Questo articolo si trova pubblicato in una non molto esatta traduzione francese nella rivista stalinista Cahiers du Communisme del novembre 1955. I redattori della pubblicazione dicono nella loro presentazione del testo di avere trovato presso un pronipote di Marx (Lafargue ne era come è noto il genero) una corrispondenza notevolissima di Engels col Lafargue stesso. Engels non tace la sua rampogna, e le formulazioni ne sono davvero importanti; è solo strana la disinvoltura degli stalinisti quando presentano un materiale storico che li bolla direttamente!

Voi, dice con una certa amarezza, malgrado il tono sereno, il vecchio Engels a Lafargue, voi, i rivoluzionari intransigenti di un tempo, pendete verso l’opportunismo un poco più dei tedeschi. In una lettera successiva Engels tiene a sottolineare di aver scritto l’articolo critico con spirito amichevole, ma non esita a ripetere: “vi siete lasciati troppo trascinare sulla china dell’opportunismo”. Queste citazioni sono utili anche per stabilire a quando risale la terminologia delle nostre discussioni, a cui abbiamo sempre data la più grande importanza. Prima della morte di Engels già i marxisti della sinistra (che nel 1882 al congresso di Roanne si erano scissi dai “possibilisti” fautori dell’ingresso nei ministeri borghesi) si definivano rivoluzionari intransigenti, e con lo stesso termine nel primo decennio del secolo si chiamava la frazione di sinistra del Partito socialista italiano, opposta al riformismo di Turati e al possibilismo di Bissolati, e da cui nacque il Partito comunista in ulteriore selezione.

La parola opportunismo che molti giovani credono coniata da Lenin nella sua travolgente battaglia della Prima Guerra Mondiale, è stata invece usata da Engels e da Marx nei loro scritti. Più volte abbiamo notato che semanticamente non è la più felice, perché conduce all’idea di un giudizio morale, e non sociale-determinista. La parola tuttavia ha ormai diritti storici ed esprime per tutti noi la feccia e la melma davanti al sano marxismo.

Engels ce ne dà in quella lettera, scritta per “ménager” un poco il non sospetto rivoluzionario Lafargue, una definizione diritta come una spada. Alla frase: vi siete messi sulla china opportunista, seguono le parole: “A Nantes, eravate sulla via di sacrificare l’avvenire del Partito al successo di un giorno”. La definizione può restare lapidaria: è opportunismo il metodo che sacrifica l’avvenire del Partito al successo di un giorno. Infamia a quanti, allora e poi, lo abbiano praticato!

E’ tempo di venire alla sostanza della questione e allo scritto di Engels. Egli conchiudeva che era ancora tempo per i francesi di fermarsi, e sperava che il suo articolo vi contribuisse. Ma dove sono i francesi (e italiani) nel 1958?

Socialisti e contadini in fine dell’800

Allo studio di Engels è premesso un quadro della situazione generale della popolazione agricola di Europa in quel tempo. I partiti borghesi avevano sempre ritenuto che il movimento socialista si svolgesse solo nel campo degli operai industriali urbani, e si stupivano allora che la questione contadina venisse posta sul tappeto da tutti i partiti socialisti del tempo. La risposta di Engels è quella che viene avanti ad ogni passo, ad esempio quando noi mostriamo che in pieno ventesimo secolo le questioni sociali dei paesi di colore e non sviluppati industrialmente non possono essere costrette nel legnoso dualismo capitalisti-proletari; ma il marxismo deve sempre e dovunque avere risposte di dottrina e di azione per tutto il quadro pluriclassista e non biclassista della società.

Engels è in grado di fare due sole eccezioni alla presenza fondamentale di una grande classe di contadini che non sono né salariati né imprenditori: la Gran Bretagna propriamente detta e la Prussia ad est dell’Elba. Solo in quelle due regioni la grande proprietà terriera e la grande industria agraria hanno totalmente liquidato il piccolo agricoltore, conducente per suo conto. Osserviamo che anche il quadro in questi due casi di eccezione è a tre classi (come sempre in Marx quando anche si tratti della società borghese modello): salariato urbano o rurale, capitalista imprenditore industriale o agrario, proprietario della terra al modo borghese, e non feudale.

In tutti gli altri paesi, per Engels e per ogni marxista, “il contadino è un fattore molto importante della popolazione, della produzione e del potere politico”. Nessuno può dunque dire: i contadini per me non esistono, sul genere della palinodia: i movimenti dei popoli coloniali per me non esistono.

Ma che la teoria della funzione di tali classi sociali, e la maniera di comportarsi verso di esse del partito marxista, debba essere una copia di quelle dei partiti della democrazia piccolo-borghese, questa è l’altra enormità contro cui Engels sfodera una delle sue “messe a punto”. Noi diremo anzi che è altra formulazione della stessa enormità.

Poiché solo un matto potrebbe contestare il peso dei contadini nella statistica demografica ed economica, Engels viene subito al punto scabroso: quale il loro peso come fattore della lotta politica?

La conclusione è palese: il più delle volte i contadini non hanno dato prova che della loro apatia, fondata sull’isolamento della vita dei campi. Ma questa apatia non è un fatto privo di effetti: essa è “il più valido sostegno non solo della corruzione parlamentare di Parigi e di Roma, ma anche del dispotismo russo”. Roma non ce l’abbiamo messa noi, ma proprio Engels, la bellezza di 64 anni addietro.

Engels mostra che da quando è nato il movimento operaio cittadino i borghesi non hanno mai desistito dal cercare di aizzare i contadini proprietari contro di esso, presentando i socialisti come quelli che aboliscono la proprietà, e altrettanto hanno fatto i proprietari terrieri, simulando di avere un baluardo comune da difendere col piccolo contadino.

Deve il proletariato industriale accettare per inevitabile che nella conquista del potere politico tutta la classe contadina sia una alleata attiva della borghesia da rovesciare? Engels introduce la visione marxista della questione ammettendo subito che una tale prospettiva è da condannare ed è tanto poco utile alla causa della rivoluzione quanto quella che il proletariato non possa vincere prima della sparizione di tutte le classi intermedie.

In Francia la storia ha insegnato, come i classici di Carlo Marx presentano in modo insuperabile, che i contadini col loro peso hanno sempre fatto pendere la bilancia dalla parte opposta a quella che interessava la classe operaia, dal primo al secondo Impero e contro le rivoluzioni parigine nel 1831, 1848-1849 e 1871.

Come dunque spostare un tale rapporto di forze? Che cosa presentare e promettere ai piccoli contadini? Si è nel pieno del problema agrario. Ma quello che è lo scopo della trattazione engelsiana è scartare come antimarxista e controrivoluzionaria ogni tutela conservativa della piccola proprietà. Che avrebbe detto il vecchio e grande Federico se taluno avesse proposto come oggi in Italia e in Francia, che il programma deve divenire quello di propugnare la diffusione per tutta la popolazione rurale della proprietà totale della terra lavorata?

Programmi francesi

Già nel 1892 al Congresso di Marsiglia il partito operaio francese aveva tracciato un programma agrario (era l’anno in cui in Italia avveniva la separazione dagli anarchici e sorgeva a Genova il Partito socialista italiano).

Questo primo programma è meno condannato da parte di Engels che quello di Nantes, in quanto questo secondo, come subito vedremo, aveva fatto cattivo governo dei principi teorici al fine di introdurre l’appoggio del partito agli interessi immediati dei piccoli contadini. A Marsiglia il partito si limitò ad indicare fini pratici della agitazione tra i contadini (si era allora seguaci della famosa distinzione tra programma massimo e minimo, che poi condusse a tutta la storica crisi dei partiti socialisti). Engels rileva che quelle rivendicazioni richieste per i piccoli contadini, di cui allora più che i proprietari lavoratori si considerarono specialmente i coloni, erano talmente modeste che altri partiti le avevano avanzate e molti governi borghesi già attuate. Consorzi per l’acquisto di macchine e concimi, locazione di macchine dei comuni rurali favoriti dallo Stato nel formarsi un parco, divieto di sequestro da parte del proprietario sul raccolto, revisione del catasto, e simili…

Il gruppo di rivendicazioni per i salariati agrari è ancora meno considerato da Engels; alcune sono ovvie perché sono le stesse che quelle per gli operai industriali, come i minimi di salario, altre tollerabili come la formazione con i terreni comunali (beni civici) di cooperative agricole di produzione.

Tuttavia questo programma determinò per il partito nelle elezioni del 1893 un notevole successo elettorale, che alla vigilia del successivo congresso si volle spingere oltre nella via di conquiste per i contadini. Si sentiva di avventurarsi su un terreno pericoloso, e allora si volle far precedere una premessa teorica per mostrare che non vi era contraddizione tra il programma massimo socialista e la protezione del piccolo contadino, anche nel suo diritto di proprietario! E’ qui che Engels, dopo avere riportato i considerandi del programma, appunta tutta la sua critica. Si volle, egli dice, “mostrare che i princìpii del socialismo vogliono che si protegga la piccola proprietà contadina contro la rovina di cui la minaccia il modo di produzione capitalista, sebbene si veda perfettamente che una tale rovina è inevitabile“.

Dice il primo considerando che ai termini del programma generale del partito i produttori non saranno liberi che quando saranno in possesso dei mezzi di produzione. Il secondo dice che se per il campo industriale si può prevedere la restituzione dei mezzi di produzione ai produttori in forma collettiva o sociale, nel campo agricolo, almeno in Francia, nel più dei casi il mezzo di produzione, la terra, si trova posseduto dal lavoratore a titolo individuale.

Secondo il terzo considerando la proprietà contadina “è fatalmente destinata a scomparire” ma “il socialismo” non deve “affrettare questa scomparsa, il suo compito essendo non già di separare proprietà e lavoro, ma al contrario di riunire nelle stesse mani questi due fattori di ogni produzione”.

Nel quarto considerando è detto che come gli impianti industriali devono essere tolti ai privati capitalisti per essere dati ai lavoratori, così i grandi dominii terrieri devono essere dati ai proletari agricoli, e per conseguenza è dovere, sempre “del socialismo”, di “mantenere in possesso dei loro lembi di terra, contro il fisco, l’usura e l’invasione dei nuovi grandi proprietari fondiari; i contadini proprietari che lavorano la loro terra”.

Il quinto considerando è quello che Engels troverà più scandaloso: i primi fanno una tremenda confusione di dottrina, questo addirittura annienta il concetto della lotta di classe: “vi è luogo di estendere tale protezione ai produttori che, sotto il nome di coloni e di mezzadri, fanno valere le terre degli altri; e che, se sfruttano dei salariati, vi sono in qualche modo costretti dallo sfruttamento di cui essi stessi sono vittime”.

La lamentevole conclusione

Da queste disgraziate premesse sorge il programma pratico che è “destinato a coalizzare nella stessa lotta contro il nemico comune, la feudalità agraria, tutti gli elementi della produzione agricola, tutte le attività che, a titoli diversi, mettono in valore il suolo nazionale”. Qui, come Engels dimostra, pure con l’evidente preoccupazione di non dare degli asini a vecchi professanti marxisti, tutta l’impostazione storica è gettata all’aria, confondendo nella Francia del 1894 i feudatari, annientati dalla grande rivoluzione un secolo prima, non tanto con i grandi affittuari capitalisti, gli industriali dell’agricoltura, verso i quali (se il nostro accorto lettore tiene presente quanto sempre rinfacciamo ai comuntraditori odierni italiani) si lanciano addirittura inviti a entrare nel grande blocco, come attività che mettono in valore la terra(!), ma i proprietari agrari a titolo borghese, che non eserciscono l’azienda agricola, ma vivono della rendita pagata da piccoli coloni o grandi fittuari. Questa terza classe marxista della società capitalista non ha a che fare con l’antica nobiltà feudale; la prima ha comprato i suoi beni fondiari con denaro, e li può vendere, da che “la rivoluzione borghese fece della terra un articolo di commercio”; la seconda (ossia la classe feudale) aveva un diritto inalienabile non solo sulla terra ma sui lavoratori che la popolavano. Engels ricorderà a questi malaccorti discepoli che contro tale classe feudale il blocco vi fu “durante un certo tempo e con scopi definiti”, ma è chiaro che a questo blocco storico, il cui tempo in Francia è remoto, in Russia era nel 1894 ancora attuale, gli stessi “signori borghesi della terra” presero parte.

Un tale pestifero errore soffoca ancora l’orizzonte proletario europeo per colpa dell’opportunismo stalinista trionfante. Le armi dottrinali per combatterne gli effetti rovinosi non vanno cercate in dati forniti dal decorso dal 1894 ad oggi, ma nello stesso valido arsenale di cui Engels qui si serve.

Questa politica agraria decisamente bloccarda uccide la lotta di classe, e in quanto condotta dallo stesso partito che accoglie i lavoratori delle fabbriche la uccide anche a tutto vantaggio dei capitalisti industriali, ed è garanzia di sopravvivenza della forma sociale borghese, fino a che quei partiti elefantiaci non andranno in disfacimento.

Ma restando alla parte dottrinale, prima di considerare quella politica, vi è da fare un rilievo altrettanto pessimista, che sarebbe vano omettere, oggi, in quanto a differenza del 1894 l’opportunismo non è allo stato di minaccia ma ha già tutto travolto come energie della classe operaia. Molti, e quasi tutti, i gruppi che si vanno ponendo contro i partitoni stalinisti o post-stalinisti e ne sono usciti, il che farebbe sperare che quel disfacimento invocato si inizi, mostrano di avere sul “contenu du socialisme“(poiché siamo in Francia, riferitevi al gruppo di Socialisme ou Barbarie) idee altrettanto amarxiste di quelle del programma di Nantes. Diremmo antimarxiste se non fossimo in presenza del linguaggio sereno di Federico Engels, che evidentemente sapeva per esperienza, e per gli effetti di molti irsuti rabbuffi di Padre Marx, che il francese non vuole essere choqué (urtato), ma neanche froissé (sfiorato). Nel primo caso fa la grinta di un d’Artagnan, nel secondo quella di un Talleyrand. Alla larga, per chi ricordi uno sfottò del secondo congresso di Mosca: Frossard (un primatista mondiale dell’amarxismo) a été froissé. E chi tanto aveva osato si chiamava Lenin!

Serie di formule false

Le formulazioni false sono utilissime per chiarire il vero “contenuto” del moderno programma rivoluzionario. Le antiche ideologie sociali ebbero forma mistica, ma non per questo non sono condensazioni dell’esperienza umana di specie della stessa natura di quelle più sviluppate a cui si è pervenuti nell’età capitalistica e nella lotta per scavalcarla. Potremmo dire che le antiche mistiche ebbero la forma rispettabile di una seriazione di tesi affermative. La mistica odierna, la normativa dell’azione delle forze eversive della società presente, si ordina meglio in una serie di tesi negative. Il grado di coscienza dell’avvenire, che non l’individuo ma solo il partito rivoluzionario può raggiungere, si costruisce – almeno fino a quando la società senza classi non sarà un fatto – in modo più espressivo in una serie di norme del tipo: così non si dice – così non si fa.

Ci auguriamo di avere presentato in una forma umile ed accessibile un risultato elevato e piuttosto arduo. A tal fine sarà bene, sulla guida di Engels, maestro di un tale metodo, spulciare le formule sbagliate dei considerando di Nantes.

Engels comincia col dire, sul primo considerando, che non è giusto trarre dal nostro programma generale la formula «i produttori possono essere liberi solo in quanto si trovino in possesso dei mezzi di produzione». Lo stesso programma francese del tempo aggiunge subito che un tale possesso non è possibile che sotto la forma individuale, che non è stata mai generale e che lo sviluppo industriale rende sempre più impossibile, o sotto la forma comune, di cui le condizioni si sono formate con lo stabilirsi della società capitalista. Solo scopo del socialismo, dice dunque Engels, è il possesso comune dei mezzi di produzione e la conquista collettiva di essi. Ad Engels preme qui stabilire che nessuna conquista o conservazione del possesso individuale dei mezzi di produzione da parte del produttore può figurare come scopo nel programma socialista. E aggiunge “non solo nell’industria dove il terreno è già preparato, ma in generale anche nell’agricoltura”.

Questa è tesi fondamentale in ogni scritto classico marxista. Il partito proletario – a meno che non si sia dichiarato aperto revisionista – non può per un solo momento difendere e proteggere quella riunione del lavoratore con i mezzi del suo lavoro, che si realizza a titolo individuale, parcellare. Il testo qui studiato lo ripete quasi ad ogni periodo.

Engels contesta inoltre il concetto espresso nella formula sbagliata circa la “libertà” del produttore. Essa non è affatto assicurata da quelle forme ibride, connaturate alla società attuale, in cui lo stesso produttore possiede la terra e una parte anche dei suoi strumenti di lavoro. Nell’economia presente tutto questo è ben precario e non garantito per il piccolo contadino. La rivoluzione borghese gli ha indubbiamente dato i vantaggi di scioglierlo dai lacci feudali, dalla servitù personale di dare parte del suo tempo di lavoro o parte dei suoi prodotti. Ma ciò non gli garantisce, quando sia pervenuto alla proprietà del “lopin” di terra, di non esserne per cento modi separato, che Engels elenca insieme alla parte concreta del programma, ma che sono inseparabili dall’essenza della società capitalista: tasse, debiti ipotecari, distruzione dell’industria domestica rurale, sequestri fino all’esproprio. Nessuna misura di legge (riforma) potrà evitare che il contadino in tutta spontaneità si venda corpo ed anima, terra compresa, prima di morire di fame. La critica qui tocca l’invettiva: ” Il vostro tentativo di proteggere il piccolo contadino nella sua proprietà non protegge la sua libertà, ma solo la forma particolare della sua servitù; esso prolunga una situazione in cui egli non può né vivere né morire! “.

Falso miraggio della libertà

La formula malsana del primo considerando, che dall’errore conduce a un maggiore errore, sarà da noi denunziata con generosità minore di quella del grande Engels; non abbiamo di fronte un Paolo Lafargue in cui il marxismo ha per un momento sonnecchiato, e che si trattava di ridestare, ma una sporca banda di traditori e di disfattisti le cui anime sono già dannate.

Essa mostra rispondere a questa domanda: quando i produttori saranno liberi? E risponde: quando non saranno divisi dal loro mezzi di lavoro. Arriva su questa china ad idealizzare una società impossibile e miserabile di piccoli contadini e artigiani, e il maestro non risparmierà la frase acerba di indirizzo reazionario, perché tale società è molto più arretrata di quella di proletari e capitalisti. Ma l’errore, del tutto metafisica e idealista, che ha dispersa ogni visione storico-dialettica, e determinista, è quello di presupporre un enunciato balordo, che molti pretesi “sinistri” dai due lati dell’Atlantico oggi professano: il socialismo è uno sforzo per la liberazione individuale del lavoratore. Esso iscrive certi teoremi economici entro i limiti di una filosofia della Libertà.

Noi ripudiamo tale punto di partenza: esso è stupidamente borghese e non conduce ad altri sviluppi che la degenerazione di cui lo staliname ci presenta in tutto il mondo lo spettacolo. La formula non diverrebbe meno deforme se si parlasse di liberazione collettiva dei produttori. Si tratterebbe infatti di stabilire il limite di questa collettività, ed è qui che crollano tutti gli “immediatisti”, come vedremo nel seguito. Questo limite è tanto vasto che deve riunire in sé la manifattura e l’agricoltura ed in genere ogni forma umana di attività. Quando l’attività umana, che ha senso molto più lato che la produzione, termine legato alla società mercantile, non avrà limiti nella sua dinamica collettiva, e neanche limite temporale tra generazione e generazione, si capirà che il postulato della Libertà era una transeunte e caduca ideologia borghese, un tempo esplosiva, oggi sonnifera e malfida.

Proprietà e lavoro

Nel terzo infelice considerando si mostra di partire da cosa pacifica col dire che compito del socialismo è di riunire e non di separare la proprietà dal lavoro. Engels non voleva essere feroce ma si dà a ripetere che sotto l’aspetto generale non è questo il compito del socialismo, ma al contrario esso consiste nel rimettere a titolo collettivo i mezzi di produzione al produttore. Se si perde questo di vista, dice Engels, è chiaro che si arriva a “imporre al socialismo di fare una cosa che nel paragrafo prima si è dichiarata impossibile, ossia di mantenere i contadini in possesso della proprietà parcellare, dopo aver detto che essa è fatalmente destinata a sparire “.

Anche qui si deve scarnificare più oltre, tenendo presente tutti i tessuti marx-engelsiani e tutta la nostra dottrina. La questione della “separazione” non è metafisica ma storica, anzitutto. Non si tratta di dire: la borghesia ha separato la proprietà dal lavoro, e noi per farle dispetto li riuniremo. Questa sarebbe una scempiaggine pura. Il marxismo non ha mai descritto nella rivoluzione e nella società borghese un processo di separazione tra proprietà e lavoro, ma quello di separazione degli uomini che lavorano dalle condizioni del loro lavoro. Proprietà è una categoria storico-giuridica; la separazione detta è un rapporto tra elementi ben reali e materiali, da una parte gli uomini che lavorano, dall’altra la possibilità di accedere sulla terra e di brandire gli utensili del lavoro. Il servaggio feudale e lo schiavismo avevano unito i due elementi in un modo ben semplice: serrando tutti e due gli elementi in uno stesso campo di concentramento, da cui si sottraeva quella parte dei prodotti (altro elemento fisico concreto) che alla classe dominante piaceva. La rivoluzione borghese ruppe a pedate quella recinzione e disse ai lavoratori: siete liberi di uscire, poi la richiuse e realizzò quella separazione di cui si discute. La classe dominante monopolizzò le condizioni alle quali avrebbe dischiuso il filo spinato e permesso di produrre, tenendosi tutto il prodotto: i servi fuggiti verso la fame e l’impotenza stanno ancora a corteggiare il miracolo della Libertà!

Il socialismo vuole abolire in chicchessia, individuo, gruppo, classe o Stato, la possibilità di stendere cerchie di ferro spinoso; ma ciò non si può indicare con le parole dissennate di riunire di bel nuovo proprietà e lavoro! Significa far finire e morire la proprietà borghese e il lavoro salariale, ultima e peggiore servitù.

Quando poi il testo di Nantes dice che lavoro e proprietà sono i due fattori della produzione, di cui la divisione comporta la servitù e la miseria dei proletari, cade in un’ancora maggiore enormità. La proprietà un fattore della produzione! Qui il marxismo è dimenticato, rinnegato in pieno. Anche in sede di descrizione del modo di produzione capitalista la tesi centrale del marxismo è che vi è un solo fattore della produzione, ed è il lavoro umano. La proprietà della terra, o gli utensili e impianti, non è un altro fattore della produzione. Chiamarli fattori sarebbe ricadere nella formula trinitaria annientata da Marx nel terzo volume del capitale; per essa la ricchezza ha tre fonti: terra, capitale e lavoro, e la crassa dottrina giustifica le tre forme di compenso: rendita, profitto e salario.

Il partito socialista e comunista è la forma storica in lotta contro il dominio della classe capitalista, nella cui dottrina si sostiene che il capitale allo stesso titolo del lavoro sia un fattore della produzione. Ma per trovare la dottrina che sostiene il terzo termine, la terra fattore della produzione, dobbiamo tornare ancora più indietro, oltre Ricardo, ai fisiocratici del tempo feudale sulla cui teoria si reggeva (vedi un poco!) proprio la giustificazione storica del dominio della esecrata feudalità!

Riunire dunque la terra al lavoro è una grave eresia marxista, e lo è tanto se si tratta di lavoro individuale quanto di lavoro collettivo.

Impresa industriale ed agraria

Proprio il quarto scivoloso considerando che contiene il tranello della difesa della piccola azienda parcellare parte dal paragone delle grandi industrie che “devono essere strappate ai loro detentori oziosi”, ossia i borghesi urbani (tuttavia non oziosi al tempo del “Maìtre des Forges”), con i grandi dominii che devono essere dati ai proletari agricoli “sotto forma collettiva o sociale”. Più oltre è fatto bene altrimenti da Engels il confronto tra la espropriazione socialista e rivoluzionaria del padrone di officina e di quelli agrari. Nel programma di Nantes, oltre a non essere approfondita la distinzione essenziale appena sfiorata tra conduzione “collettiva” e “sociale”, sfugge la non meno importante distinzione tra grande dominio o grande proprietà terriera e grande azienda agraria. Quando la conduzione unitaria della produzione a mezzo di lavoratori salariati – anche quando parte del salario sia data non in moneta ma in derrate, forma che Marx definisce un avanzo medioevale, e che i marxisti togliattiani italiani “proteggono” per meglio vincolare il proletariato rurale alla sporca forma di un partecipante parziario – costituisce un unico esercizio tecnico, non vi è ragione per non trattare questa unità produttiva allo stesso modo della fabbrica, per usare l’esempio engelsiano, dei signori Krupp. Ma il caso difficile sorge quando si ha una grande proprietà rurale di un solo titolare, tuttavia spezzata in un grande numero di piccoli esercizi familiari tecnicamente autonomi, di piccoli coloni o di piccoli mezzadri. In tale caso l’espropriazione non ha il carattere storico di quella della grande industria accentrata, bensì, se sopravvivono ancora forme feudali, come era il caso nella Russia del 1917, si riduce ad una liberazione dei servi della gleba che non supera ancora la inferiorità della divisione parcellare. In regime borghese affermato come quello francese della fine dell’ottocento, la formula programmatica, a parere di Engels, non dovrà limitarsi alla trasformazione dei coloni ad affitto monetario o in natura in “liberi” proprietari lavoratori, ma i partiti socialisti devono decisamente propugnare come obiettivo dei contadini che si possano accettare nel partito e sotto influenza del partito, la formazione di cooperative di produzione agricola a gestione unitaria, forma anch’essa di transizione in quanto dovrà mano mano tendere alla “istituzione della Grande cooperativa nazionale di produzione”. Questa formula è usata da Engels per stigmatizzare con severità adeguata ogni inclusione nel programma anche immediato di una partizione della grande proprietà agraria tra i contadini, per ridurla ad aziende parcellari o familiari.

Su questo punto va aggiunta qualche altra considerazione, da ricollegare ad altri testi marxisti, circa il punto di arrivo del programma socialista. La conduzione collettiva di aziende, già unificate sotto il padronato borghese, potrà essere concepita come un espediente transitorio se si pensa come oggetto di tale gestione la collettività dei lavoratori addetti all’azienda. Ma tale considerazione non deve far pensare che il socialismo si esaurisca nel sostituire alla proprietà padronale o capitalista della fabbrica (che oggi nelle società anonime è già collettiva) una proprietà collettiva operaia. Quando le formule sono corrette non vi si trova la parola proprietà, ma quella di possesso, di impossessamento dei mezzi di produzione, e più esattamente ancora di esercizio, di gestione, di direzione, a cui si tratta di stabilire il giusto soggetto. L’espressione gestione sociale vale meglio di quella gestione cooperativa, mentre sarebbe compiutamente borghese e non socialista una “proprietà cooperativa”. L’espressione gestione nazionale serve per adeguarsi all’ipotesi che l’espropriazione degli impianti e del suolo possa farsi in un paese e non in un altro, ma fa pensare alla gestione statale che non è altro che una proprietà capitalista dello Stato sulle aziende.

Per restare ancora nel campo dell’agricoltura vogliamo qui stabilire che la terra e i mezzi di produzione devono, nel programma comunista, passare alla società organizzata su nuove basi, che non si potranno più chiamare produzione di merci. Quindi la terra e gli impianti rurali passano al complesso di tutti i lavoratori, sia industriali che agricoli, come lo stesso è degli impianti industriali. Solo in questo senso si legge Marx quando parla di abolizione delle differenze tra città e campagna, e del superamento della divisione sociale del lavoro, quali capisaldi della società comunista. Le vecchie formule di agitazione: le fabbriche agli operai e la terra ai contadini, del genere di quelle ancora più insulse: le navi ai naviganti, se anche troppo usate anche di recente, non sono che una parodia del formidabile potenziale del programma rivoluzionario marxista.

L’estrema aberrazione

Prima di cercare in altri testi di Marx la remota anticipazione dei princìpi che abbiamo ricordati, chiuderemo la nostra ampia parafrasi dello studio di Engels – di cui omettiamo la sottile critica distruttiva anche della parte di dettaglio decisa a Nantes, con misure riformatrici che o erano prive di ogni realizzabilità, o avrebbero riportato gli stessi contadini al punto di partenza da cui la loro miseria e il loro abbrutimento in Francia ed altrove erano partiti, applicando male la leva con cui si voleva smuoverli – col riferire, perché attualissima, la sua indignazione davanti all’ultimo dei cinque considerando, quello che attribuisce al partito il dovere di aiutare anche i contadini coloni e mezzadri che sfruttano operai salariati!

Omettiamo anche la parte finale sulla Germania, ove per fortuna il partito non aveva commesso analoghi errori, in cui si dimostra come bisogna poggiarsi sui contadini nullatenenti dell’est, semiservi dei boiardi prussiani, piuttosto che sul contadiname dell’ovest, privo di potenziale rivoluzionario.

Ci duole non aver trovato in questo scritto di Engels un accenno all’Italia, ove in quel torno il partito con alto spirito classista conduceva la lotta dei braccianti agricoli, come in Romagna e Puglia, contro i grassi mezzadri borghesi, nelle forme più violente, realizzandosi quello che Engels presenta come il giusto desiderato, che i contadini salariati siano nel partito socialista, e i mezzadri e coloni in altro partito piccolo borghese, che in Italia era il repubblicano. Mentre oggi si fa dai “comunisti” quanto sfacciatamente programmato in Francia nel 1894, di strozzare la lotta di classe dei lavoratori presi a salario dai medi contadini e coloni, come abbiamo citato.

Valgano le parole di Engels per i traditori di oggi.

“Eccoci dunque su un terreno davvero strano. Il socialismo combatte specificamente lo sfruttamento dei salariati. E qui ci si viene a dichiarare che il dovere imperioso dei socialisti francesi è di proteggere i coloni francesi quando essi «sfruttano dei giornalieri» – io cito testualmente! – E ciò perché essi vi sono in qualche modo costretti dallo sfruttamento di cui essi stessi sono vittime!”.

“Come è facile e piacevole scivolare lungo questo piano inclinato! [O padre Engels, voi non immaginavate gli estremi che avrebbe toccati questa libidine del successo demagogico e del tradimento]. Che i contadini tedeschi grandi e piccoli vengano a pregare i socialisti francesi di intercedere in loro favore presso il Comitato Direttivo del Partito socialista tedesco, per essere protetti quando sfruttano i loro «domestici» salariati, richiamanto lo sfruttamento di cui essi stessi sono vittime da parte di usurai, di esattori, di speculatori sul grano e di mercanti di bestiame! E perché non verrebbero anche i nostri grandi signori agrari col loro conte Kanitz (rappresentante al Reichstag germanico dei proprietari fondiari) a domandare la protezione socialista nello sfruttare gli operai agricoli, fondandosi sullo sfruttamento di cui anche essi sono vittime da parte degli aggiotatori di borsa, sulle rendite e sul grano?”

Possiamo chiudere con un’ultima citazione sui contadini e l’appartenenza al partito che è veramente una norma da non più dimenticare. “Io nego recisamente che il partito operaio socialista di un qualunque paese debba ammettere nelle sue file, oltre i proletari rurali e i piccoli contadini, i grandi e medi contadini o anche i coloni dei grandi possessi, gli allevatori di bestiame e gli altri capitalisti che mettono in valore il suolo nazionale!”

«Se nel nostro partito possiamo ammettere (esattissimo) elementi di TUTTE le classi della società, noi non vi possiamo tollerare GRUPPI DI INTERESSI capitalisti o contadini medi o mezzo borghesi!»

Ecco come si difende il partito, la sua natura, la sua dottrina non commerciabile, il suo avvenire rivoluzionario! Ed ecco perché solo il partito politico è la forma che salva dalla degenerazione la lotta di classe del proletariato urbano e rurale, di tutti i paesi.

Un grande dettato di Marx

I nostri compagni francesi ci recarono a Torino un testo di Marx la cui pubblicazione annota quanto segue: “Questo manoscritto trovato, dopo la morte di Carlo Marx, nei suoi archivi è probabilmente un’addenda a un lavoro sulla nazionalizzazione del suolo che Marx aveva scritto su richiesta di Applegaarth. Questo lavoro non è stato ancora ritrovato. Il titolo dell’estratto è “A proposito della nazionalizzazione della terra”.

Questo magistrale svolgimento viene a suffragare la nostra modesta ripetizione che il marxismo non modifica le forme della proprietà, ma nega l’appropriazione del suolo radicalmente. Cominciamo col riportarne un passo teoricamente meno arduo.

“Al Congresso internazionale di Bruxelles, nel 1868, uno dei miei amici ha dichiarato (eravamo alla Prima Internazionale e l’espressione dice che non si trattava di un libertario bakuninista) : “la piccola proprietà è stata condannata dal verdetto della scienza e la grande dalla giustizia. Non resta dunque che un’alternativa: la terra deve divenire o la proprietà di associazioni agricole, o la proprietà dell’insieme della nazione. L’avvenire deciderà questa questione”.

“Io [Marx] dico all’opposto: L’avvenire deciderà che il suolo non può essere che proprietà nazionale. Trasferire la terra a lavoratori agricoli associati, SIGNIFICHEREBBE CONSEGNARE TUTTA LA SOCIETA’ AD UNA CLASSE PARTICOLARE DI PRODUTTORI”.

Il contenuto di questa breve espressione è gigantesco. Anzitutto essa prova che non è nella linea marxista liberarsi di questioni ardue rimettendole alla rivelazione e decisione della storia avvenire. Il marxismo sa bene in maniera tagliente fin dagli inizi risolvere le caratteristiche essenziali della società futura, e le enuncia in modo esplicito.

In secondo luogo: il termine nazionale, e proprietà nazionale, non è adottato che a fine di dialogo socratico col primo enunciatore. Nella tesi positiva si parla di trasferimento e non di proprietà, e non più della nazione ma di tutta la società.

Infine si può sviluppare la presente proposizione, magistrale nell’alto senso del termine, in questo modo conseguente. Il programma socialista non è ben espresso come abolizione della consegna di un settore dei mezzi produttivi a una classe di privati, o a una minoranza di oziosi, non produttori. Il programma socialista esige che nessun ramo della produzione sia retto, anziché da tutta la società umana, da una sola classe, anche di produttori. Quindi la terra non andrà ad associazioni di contadini, né alla classe contadina, ma a tutta la società.

In tanto è la condanna spietata di ogni deformazione immediatista che da tempo andiamo perseguendo senza posa, anche in pretesi rivoluzionari di sinistra.

Questo teorema del marxismo abbatte ogni comunalismo e sindacalismo come ogni aziendismo (vedi i capitoli distinti del rapporto alla riunione di Pentecoste dell’anno scorso) perché quei programmi surannés, rovinosamente invecchiati, “consegnano” energie indivisibili della società come un tutto a gruppi limitati.

E prima ancora in questa enunciazione fondamentale è annullata ogni definizione di stalinisti o post-stalinisti – come essi vogliono e secondo il vento a cui si girano – di proprietà socialista nelle forme agrarie in cui gli aggruppamenti colcosiani si sono visti, come classe particolare di produttori, consegnare tutta la società, la vita materiale di tutta la società.

Del resto neanche la consegna allo Stato, quale è oggi in Russia, di tutte le aziende industriali, merita il nome di socialismo. Questo Stato, che per la stessa ragione va passando la consegna a “gruppi particolari di produttori” per azienda o per provincia, non è più un rappresentante storico della società integrale, aclassista di domani. Un tale carattere si attua e conserva solo sul piano della teoria politica, grazie alla forma partito, che ogni immediatismo calpesta brutalmente, mentre sola può scongiurare la peste opportunista.

Ma torniamo brevemente al passo di Marx, che ci dimostrerà come ogni attribuzione proprietaria, anzi ogni materiale consegna della terra, a gruppi limitati, taglia la strada maestra al comunismo.

“La nazionalizzazione della terra provocherà una trasformazione completa del rapporto tra il lavoro e il capitale, ed essa eliminerà infine tutta la produzione capitalista, tanto nell’industria che nell’agricoltura. Non è che allora che spariranno le differenze e i privilegi di classe nello stesso tempo che la loro base economica, dove trovavano la loro fonte, e la società si trasformerà allora in un’associazione di «produttori» [Notare che le virgolette sono messe da Marx, e una si deve leggere unica]. Vivere del lavoro sarà divenuto un affare del passato! Allora non vi sarà più governo, nè Stato in opposizione alla società medesima”.

Prima di svolgere una volta ancora questi princìpi essenziali, immutabili e mai mutati, del marxismo, poniamo agli atti che Marx non esita mai a descrivere recisamente come sarà la società comunista, prendendone per tutto il movimento rivoluzionario di una fase storica una illimitata responsabilità.

E’ il puro metallo del getto originario che rifulge fuori della ganga delle mille incrostazioni successive, e risplenderà intatto alla luce di domani.