Partito Comunista Internazionale

La voce del ferroviere

Categorie: Italy, Opportunism, Questione Triestina, SFI

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Dalla viva voce di un operaio ferroviere ho sentito, giorni fa, un discorsetto che suonava così: «Ieri per le elezioni politiche, oggi per Trieste, il fatto è che tutti dimenticano che è da un anno e mezzo che chiedemmo l’aumento delle paghe e ancora non si vede niente all’orizzonte». Parole semplici, come si vede, ma molto sagge. Chi ha parlato così è un operaio che, come dice egli stesso, non s’interessa tanto di politica, quanto della situazione economica familiare sempre più difficile. Dunque le sue parole hanno carattere istintivo, ma di quell’istinto sano dell’operaio che suda e che non vede mai, nemmeno un po’, migliorare le sue condizioni. Esse esprimono il fatto che una certa politica, quella specie di politica che ogni giorno si fa da parte non solo dei governanti, ma dei partiti cosiddetti di sinistra, fa dimenticare le questioni di stomaco e mettere da parte le lotte impegnate e da impegnare per le rivendicazioni economiche.

Infatti che esito hanno avuto i tre scioperi che noi ferrovieri facemmo dall’agosto del ’52 all’aprile del ’53? Nessuno. E perché? Perché l’amministrazione ferroviaria ha tenuto duro? No; ma perché:

  1. I sindacati – S.F.I. in testa – si sono preoccupati di far precedere le richieste di aumento dei salari da quelle «costruttive», di carattere puramente tecnico-amministrativo (tali sono da considerare infatti le richieste di nuove tabelle di classificazione e di conglobamento di alcune voci dello stipendio). È chiaro che l’amministrazione, prima di accettare simili proposte che non ha mai detto di rifiutare, ha bisogno di «valutarle bene». È quello che sta facendo prendendosi tutto il tempo possibile. Essa sa che un provvedimento organizzativo dell’azienda si risolve, presto o tardi, in un vantaggio economico dell’azienda stessa e perciò, forse, non si mostrerà poi tanto ingrata da lesinare qualche soldo a noi ferrovieri che, grazie ai nostri sindacati, l’abbiamo spinta a fare un buon passo avanti. È così che una lotta economica dal basso, svolta con mezzi primitivi, sì, ma persuasivi, si trasferisce nelle alte sfere degli uffici dei sindacati e della Direzione Generale dove s’impantana in discussioni senza fine.
  2. Le elezioni politiche hanno sconvolto i cervelli degli operai che sono caduti nella trappola del ragionamento banale e truffaldino che l’elezione al parlamento dei loro dirigenti politici e sindacali avrebbe agevolato e accelerato la soluzione delle loro vertenze economiche. Dopo tanto tempo dobbiamo amaramente constatare che l’aumentato numero degli eletti di «sinistra», mentre è costato anche denaro e lavoro agli operai, che hanno loro dato e fatto dare il voto, non ha fatto fare un solo passo avanti alle rivendicazioni dei ferrovieri e delle altre categorie.
  3. La «questione di Trieste» sta ora infiammando il cuore degli operai italiani e jugoslavi di un patriottismo rancido e sorpassato, raggiungendo così il miracoloso effetto di far dimenticare, di fronte a un fatto così vitale (!), il loro malessere economico.

Di questo passo, cioè continuando a farsi incantare dalle sirene della «politique d’abord» (che è in realtà una politica anti-operaia) non l’aumento delle paghe otterranno gli operai, ma solo quello del costo della vita. Proprio in questi giorni, infatti, la nostra cara amministrazione ferroviaria aumenterà le sue tariffe: e cioè della bellezza del 25 per cento per i viaggiatori, del 5-18 per cento per le merci «povere», e del 5-12 per cento per le merci «ricche». È facile capire che questi aumenti si riverseranno, a breve scadenza, su tutti i generi di consumo dell’operaio specialmente che sarà così costretto a stringere ancor più la cinghia.